Un’agenda per la politica in vista delle elezioni
Dalla transizione ecologica a quella sociale: 9 punti per un cambio di paradigma
Se è vero che non esiste una crescita infinita su di un pianeta finito, è vero anche che non esiste una società felice e in salute su di un pianeta in cattivo stato di salute
Nel nostro Paese si parla molto, soprattutto negli ultimi mesi, di transizione ecologica. Il dibattito si è fatto più intenso ed acceso da quando, con lo scoppio della guerra in Ucraina, la nostra sicurezza energetica – o almeno la sicurezza a prezzi economicamente accettabili – è stata messa a rischio.
Questa rinnovata attenzione è indicativa del fatto che, sebbene si scriva “transizione ecologica”, questa transizione sia effettivamente letta dai nostri politici e dalla maggior parte degli addetti ai lavori come una “transizione energetica”. Ovvero una transizione del modo in cui alimentiamo le nostre economie e le nostre società, con energie più o meno rinnovabili.
Se da un lato, tale transizione energetica è senza dubbio necessaria, dall’altra ci indica che, ancora una volta, non stiamo cercando di agire alla radice del problema, ma piuttosto stiamo cercando di curare il malanno del momento.
I cambiamenti climatici sono infatti la punta dell’iceberg, il sintomo più evidente di un ben più radicato e fondamentale problema delle nostre società, ovvero il fatto che il nostro “metabolismo” ha oramai oltrepassato i limiti del nostro pianeta, ovvero la capacità della Terra di produrre risorse utili per noi umani ed assorbire i nostri rifiuti.
Il problema del superamento dei limiti è spiegato in maniera molto semplice dal concetto dell’overshoot day, divulgato ogni anno dal Global footprint network – la ong per cui lavoro – come campanello di allarme indicativo del fallimento dell’attuale modello socio-economico delle società occidentali, o per lo meno del fatto che tale modello non è più compatibile con i ritmi del nostro pianeta.
Dagli anni sessanta ad oggi, l’overshoot day – ovvero il giorno in cui abbiamo esaurito il budget di risorse naturali per l’anno in corso, ed iniziamo quindi ad intaccare lo stock di capitale naturale del pianeta – è stato anticipato di un mese al trascorrere di ogni decade, arrivando nel 2022 a cadere il 28 luglio.
Tra i motivi principali di questo sovrasfruttamento della Terra c’è senza dubbio un consumo eccessivo di risorse energetiche fossili, ma anche un modello capitalistico basato sulla crescita – dei consumi, delle persone e della produzione, piuttosto che del benessere – ed una trasformazione e globalizzazione dei sistemi alimentari e di molte delle filiere produttive, con un conseguente aumento dell’impatto ambientale delle nostre attività quotidiane.
Il solo settore alimentare, ad esempio, è responsabile ad oggi di circa il 34% delle emissioni complessive di CO2, a cui si sommano le emissioni del settore civile delle abitazioni, di quello dei trasporti, dell’industria e via dicendo.
La strada verso la sostenibilità passa quindi per una transizione non solo energetica, ma piuttosto societaria: un radicale cambio di paradigma che non consideri più l’ambiente, la biodiversità e, da ultimo, il rispetto dei limiti ecologici del nostro pianeta come un digestivo da aggiungere alla fine della programmazione economica, ma come parte integrante e base di partenza per un economia del benessere: inteso sia come benessere del pianeta che come benessere di noi cittadini.
Se è vero che non esiste una crescita infinita su di un pianeta finito, è vero anche che non esiste una società felice e in salute su di un pianeta in cattivo stato di salute.
Erodere il capitale naturale presente sul pianeta significa infatti distrugge intrinsecamente le fondamenta delle nostre economie. Assicurare che le risorse naturali del pianeta siano in buono stato, e che i suoi ecosistemi siano funzionanti, è pertanto la chiave del nostro benessere sociale e del successo delle nostre economie.
È per questo motivo che penso che più che sulla transizione ecologica il dibattito – sia a livello politico che nella società civile – dovrebbe incentrarsi su come cambiare il nostro approccio al funzionamento della società civile, ovvero quella che vorrei chiamare “transizione sociale”.
Tale cambio di paradigma richiederà sicuramente alcuni anni, ed è quindi fondamentale iniziare da subito il cammino, per sperare di realizzare la necessaria transizione sociale entro e non oltre il 2030.
Sono molti gli interventi necessari per realizzare questo cambio ma ritengo che i seguenti 9 punti possano essere quelli chiave su cui intervenire per creare le condizioni di partenza necessarie ed innescare il cambiamento. Essi rappresentano quindi il possibile punto di partenza di una speriamo irreversibile reazione a catena verso la transizione sociale:
- Incentrare il processo decisionale sul concetto di co-benefici, abbandonando quindi l’approccio costi-benefici che troppo spesso ha portato a dualismi, ed alla contrapposizione di binomi quali economia-ambiente, lavoro-salute, ambiente-salute, etc. Da realizzare partendo dall’integrazione del ministero dello Sviluppo economico all’interno del ministero della Transizione ecologica.
- Riduzione orario lavoro (a parità di salario) e, nei settori dove questo è possibile, istituzionalizzazione dello smart working per 1 giorno a settimana
- Investimenti sulle energie rinnovabili, incluse le energie dal mare (blue energy)
- Efficientamento energetico degli edifici attraverso la proroga (fino ad efficientamento completato) del superbonus del 110% (o eventuale misura equivalente)
- Mobilità urbana sostenibile (partendo dalla sostituzione del parco veicoli della pubblica amministrazione, inclusi bus, con veicoli elettrici, ed incentivi all’uso dei trasporti pubblici)
- Aggiornamento delle linee guida nutrizionali nazionali con l’introduzione di parametri di sostenibilità
- Rafforzamento dei piani di educazione civica e educazione ambientale nelle scuole e life-long learning. Nello specifico introduzione dell’educazione alimentare (come leva per l’educazione alla sostenibilità) nelle scuole italiane, che passi anche dall’introduzione di orti scolastici.
- Piano nazionale di rilancio dell’agricoltura e pescicoltura di piccola scala.
- Introduzione di carbon, plastic e sugar tax da evolvere poi verso una fiscalità legata sia al contributo alla sostenibilità che al valore aggiunto sociale ed economico generato da ciascun soggetto ed impresa.
La strada per realizzare la transizione sociale è lunga, ma tutti noi possiamo contribuire ad innescarla con il nostro voto questo fine settimana.
di Alessandro Galli per greenreport.it