Tra l’Iva e la fiscalità, c’è di mezzo la sostenibilità
Aumentando il prelievo fiscale sui materiali vergini è possibile far crescere il lavoro e il Pil, diminuendo gli impatti ambientali dei nostri consumi
[26 Giugno 2020]
Fiscalità ed ambiente, una strana coppia, che però ha molto a che fare con la sostenibilità. Anche sociale. Perché in questi giorni nei quali si è fatto un gran discutere sulla proposta del premier Conte sul taglio dell’Iva – indubbiamente alta in Italia ma che casomai andrebbe rimodulata in senso ecologico, ad esempio abbassandola sui prodotti provenienti dal riciclo – qualcuno si è giustamente posto il tema del legame di ferro che c’è tra gli incentivi al consumo (diretti e indiretti), l’impiego di materiali per concretizzarli, la conseguente produzione rifiuti e le ricadute occupazionali lungo l’intera filiera.
Un filotto che sta tutto insieme e il cui risultato può far avvicinare un Paese a un traguardo reale di sostenibilità, oppure irrimediabilmente allontanarlo. Cosa che sta accadendo ad esempio proprio all’Italia, i cui obiettivi sull’economia stanno segnando il passo. Il sasso in piccionaia, con tanto di argomentazioni ‘numeri alla mano’, lo ha lanciato ancora una volta l’ex ministro all’ambiente Edo Ronchi. Che a sua volta ha rilanciato uno studio dell’Ocse dove si analizzano 15 studi che valutano 47 scenari di misure per la transizione all’economia circolare (Labour market consequences of a transition to a circular economy, Paper n°162, 13 maggio 2020).
Ciò che emerge più di tutto da questa analisi è che “tutti gli scenari che prevedono un maggiore incremento dell’occupazione prevedono anche l’adozione di misure di fiscalità ecologica che aumentino il prelievo fiscale sul consumo di materiali vergini e lo riducano sul lavoro. Il modello che prevede i migliori risultati – con un aumento del 7,2% dell’occupazione – è quello del Dynamixreserch group che prevede un graduale aumento del prelievo fiscale sui materiali – al 30% nel 2030 e fino al 200% al 2050 – e l’utilizzo delle risorse finanziarie così raccolte per ridurre significativamente il prelievo fiscale sul lavoro”.
Non solo “questo modello è quello che genererebbe anche una maggiore crescita del PIL in Europa – un più 5,2% – disaccoppiando la crescita economica dal consumo di materiali che, infatti, calerebbe di ben il 19% al 2050”. Il disaccoppiamento, va ricordato, è uno dei pochissimi reali indicatori che certifichino un eventuale cambio di rotto del modello economico mondiale. Come noto ad oggi se il Pil cresce, ma spesso anche se decresce, i consumi aumentano e portano con se consumo di materia e conseguenti rifiuti al termine di tutti i processi produttivi e i fine vita dei prodotti. Riuscire nel far crescere cosa può crescere e rendere la vita migliore per sempre più persone, disaccoppiandolo dalla crescita dei consumi, è l’unico orizzonte possibile di una strategia economia davvero ecologica non solo a parole.
Ronchi poi sottolinea anche unaltro aspetto dello studio dell’OCSE, ovvero “che non fa che evidenziare un meccanismo noto nelle economie di mercato: quello dell’utilizzo della leva fiscale per indirizzare il mercato attraverso il segnale dei prezzi. Se l’utilizzo di risorse naturali diventa più caro con l’aumento del prelievo fiscale, si tenderà a consumarne di meno, se, contemporaneamente, riducendo il prelievo fiscale, renderemo il lavoro meno caro, si tenderà a utilizzarne di più, a parità di altre condizioni”.
Quindi anche dall’utilizzo “sostenibile” della leva fiscale si possono ottenere, se si ha coscienza dei flussi, impatti ambientali ridotti, crescita dove serve, posti di lavoro.