Rinnovabili, in Italia ci sono 33 GW di impianti che possono entrare in esercizio entro 3 anni
Argirò (Cva): «Solo operando con una logica di sistema sarà possibile affrontare temi di interesse condiviso per gli operatori ed il Paese»
[24 Luglio 2023]
Nei primi sei mesi di quest’anno sono entrati in esercizio impianti rinnovabili per 2,5 GW in tutta Italia, confermando un ritmo ancora insufficiente a traguardare gli obiettivi europei al 2030, per rispettare i quali il Paese dovrebbe installare almeno 10 GW l’anno.
Un risultato che, nonostante tutto, è ancora a portata di mano secondo lo studio Lo stato dell’arte delle rinnovabili in Italia, presentato nei giorni scorsi all’interno del primo Forum delle energie rinnovabili “Renewable Thinking”, ideato da Cva – Compagnia valdostana delle acque, una realtà interamente pubblica – in collaborazione con The European House-Ambrosetti e col patrocinio di Elettricità futura, la principale associazione confindustriale del comparto elettrico.
Secondo lo studio, nel breve-medio periodo (10 anni) ci sono circa 130 GW di impianti rinnovabili – di cui la metà nel Mezzogiorno – che potrebbero concretamente svilupparsi, a fronte degli oltre 340 GW di impianti che hanno già fatto richiesta di connessione alla rete elettrica gestita da Terna, in attesa di autorizzazione.
Buona parte non è lontana dal traguardo finale: «In Italia ci sono 33 GW nelle ultime due fasi del processo di richiesta di connessione alla rete che possono essere rapidamente abilitati in 2-3 anni», spiegano da Cva.
Il dato può sembrare utopico rispetto al trend degli ultimi anni, ma in realtà l’Italia ha già raggiunto il suo personale record di +11 GW l’anno oltre un decennio fa, nel 2011. A maggior ragione, oggi avrebbe tutte le capacità tecnologiche necessarie per installare 33 GW in tre anni.
Per concretizzare questa opportunità, è necessario semmai intervenire a livelli diversi, a partire dal quadro regolatorio e con azioni a favore dello sviluppo del mercato: secondo Cva, in particolare, accelerare i tempi autorizzativi e le procedure, accrescere la partecipazione alle aste, razionalizzare la definizione dei sistemi incentivanti, implementare i principali bandi legati alle rinnovabili e rideterminare la durata delle concessioni idroelettriche.
«Solo operando con una logica di sistema sarà possibile affrontare temi di interesse condiviso per gli operatori ed il Paese, come il permitting, lo snellimento delle autorizzazioni e delle procedure ed il rinnovo delle concessioni idroelettriche», commenta l’ad di Cva, Giuseppe Argirò.
Di fatto però il ministero dell’Ambiente, e più in generale il Governo Meloni, sembrano ancora lavorare di retroguardia sul fronte delle rinnovabili.
La nuova proposta di Piano integrato nazionale energia e clima (Pniec) mostra infatti poca ambizione, delineando come obiettivo al 2030 soli +70 GW di impianti rinnovabili; un target peraltro incorente rispetto a quello inserito dalla stessa maggioranza politica nella bozza di decreto per le Aree idonee alle rinnovabili (+80 GW), per non parlare di quello delineato da Elettricità futura per rispettare il piano RePowerEu (+85 GW) o quello elaborato dalle principali associazioni ambientaliste nazionali (+90 GW).
Ogni GW in meno, oltre a limitare gli sforzi italiani nella lotta alla crisi climatica, comporta una minore sicurezza energetica, una mancata tutela contro il caro bollette e minori possibilità di sviluppo: il piano Elettricità futura, ad esempio, nella sua coerenza col RePowerEu garantirebbe l’attivazione di fino a 540mila nuovi posti di lavoro, oltre a garantire benefici economici compresi tra 121 e 148 miliardi di euro nella sola generazione elettrica.