Snpa, neanche Covid-19 ferma l’inquinamento atmosferico da Pm10

Nonostante il lockdown e altre misure di distanziamento sociale, gli sforamenti rilevati nel corso del 2020 superano quelli del 2019

[18 Gennaio 2021]

Il Pm10, ovvero il materiale particolato aerodisperso di dimensione inferiore a 10 μm, rappresenta una sfida in crescita per l’inquinamento atmosferico nel nostro Paese, che neanche il lockdown imposto dalla pandemia Covid-19 è riuscito a scalfire, come mostrano i dati prodotti dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa).

Le 530 stazioni di monitoraggio attive mostrano infatti che i dati del Pm10 registrati nel 2020 evidenziano che il valore limite medio giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 35 volte in un anno) è stato superato in 155 stazioni (29,2%), in larga prevalenza (131 stazioni su 530) nel bacino padano (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia). Anche il valore di riferimento Oms per la media giornaliera (50 μg/m3, da non superare più di 3 volte in un anno) è stato superato nel 2020 in tutte le regioni – 400 stazioni, il 75,5% – tranne quelle nella Provincia autonoma di Bolzano.

Come sottolinea il Snpa, si tratta di una performance peggiore rispetto a quella registrata nel 2019, quando il limite di legge era stato superato nel 22% delle stazioni di monitoraggio (115 su 521), e quello Oms era stato superato nel 76% (395 su 521) delle stazioni. Come mai?

«Da una prima analisi dei dati uno dei fattori principali che hanno originato l’aumento rispetto al 2019 è stata la minore piovosità sia a gennaio che da ottobre alla prima metà di dicembre 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. Il lockdown legato all’emergenza Covid-19 non è stato sufficiente a  compensare una meteorologia meno favorevole alla dispersione degli inquinanti, sia perché ha avuto luogo in un periodo dell’anno in cui le concentrazioni di Pm10 sono già di per sé poco elevate (i mesi invernali, specialmente nei giorni di stagnazione atmosferica, sono quelli dove è più frequente il superamento della soglia di 50 microgrammi al metro cubo, ndr), sia perché i suoi effetti sul Pm10 sono stati relativamente contenuti, rispetto a quelli invece verificatisi per il biossido di azoto». Come già spiegato più volte su queste pagine, infatti, i crolli relativi alle concentrazioni di NO2 sono stati ben più ampi.

Oltre che alle condizioni meteorologiche, a determinare quest’andamento sono state naturalmente anche le varie fonti d’emissione: «Alcune delle sorgenti principali di particolato (gli impianti di riscaldamento alimentati a biomassa e le attività agricole e zootecniche, rilevanti per l’emissione di sostanze gassose dalle quali in atmosfera si possono formare particelle) non sono state interessate dal lockdown, anzi in alcuni casi si sono registrati aumenti del consumo di biomassa per il riscaldamento rispetto al periodo stagionale tipico».

Non a caso un altro tipico inquinante atmosferico come l’NO2, strettamente legato al trasporto su strada, ha invece registrato profondi benché temporanei crolli in tutto il mondo durante i lockdown.

Di fronte ai nuovi dati Snpa la necessità di portare avanti una transizione energetica trasversale, in grado i primis di promuovere tecnologie di climatizzazione e forme di mobilità più sostenibili, è ancora più urgente. Anche di fronte ai rilievi mossi dall’Europa: a novembre la Corte di giustizia Ue ha già condannato il nostro Paese per gli sforamenti di Pm10 rilevati «in maniera sistematica e continuata tra il 2008 e il 2017», e un’altra procedura per il Pm2.5 è già stata avviata.