I risultati della nuova analisi condotta da Ocse e Iea
Transizione energetica? Nell’ultimo anno i sussidi alle fonti fossili sono raddoppiati
Nel 2021 il sostegno complessivo arrivato da 51 Paesi (Italia compresa) è salito a 697,2 mld di dollari, dai 362,4 mld del 2020
[2 Settembre 2022]
L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) hanno analizzato l’andamento dei sussidi alle fonte fossili distribuiti nelle 51 più grandi economia del mondo, trovando un’impennata nell’ultimo anno.
Nonostante la retorica sulla transizione energetica, nel 2021 i Paesi Ocse, quelli del G20 e altri 33 di dimensioni economiche rilevanti – rappresentando in tutto circa l’85% della fornitura totale di energia del mondo – hanno stanziato sussidi alle fonti fossili per 697,2 miliardi di dollari, contro i 362,4 miliardi di dollari stimati per il 2020. Non solo: Ocse e Iea prevedono che l’ammontare crescerà ancora nell’anno in corso.
È utile precisare che si tratta di sostegni rivolti sia ai produttori sia ai consumatori di energia fossile, comprese famiglie e cittadini. «La guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina ha causato forti aumenti dei prezzi dell’energia e minato la sicurezza energetica – riconosce nel merito il segretario generale dell’Ocse, Mathias Cormann – Tuttavia, aumenti significativi dei sussidi ai combustibili fossili incoraggiano il consumo dispendioso, pur non raggiungendo necessariamente le famiglie a basso reddito. Dobbiamo adottare misure che proteggano i consumatori dagli impatti estremi della volatilità del mercato e delle forze geopolitiche, in un modo che ci aiuti a mantenerci sulla buona strada per la carbon neutrality, nonché per la sicurezza energetica e l’accessibilità economica».
Si tratta di un tema già affrontato, ad esempio, dal think tank Brueguel: da settembre 2021 a maggio di quest’anno si stima che il Governo italiano abbia stanziato 37 mld di euro contro il caro bollette (il 2,1% del Pil). Ma questa politica dei sussidi è regressiva perché aiuta più i ricchi – che hanno consumi maggiori – dei poveri, e ha effetti dannosi anche dal punto di vista ambientale.
Che fare? A livello europeo (grazie anche alla spinta del Governo italiano) si sta facendo strada l’opzione di imporre un tetto ai prezzi del gas, oltre a una riforma del mercato elettrico che disaccoppi il prezzo dell’elettricità prodotta da rinnovabili (ben più economia) da quella proveniente bruciando gas e fonti fossili.
Di fatto però, ancora una volta, le istituzioni (nazionali ed europee) si sono mosse in ritardo, col risultato che gran parte dei costi sono adesso inevitabili ed è prioritario distribuirne l’impatto in modo che gravi soprattutto sulle spalle di chi può permetterselo di più: nuove tasse, che siano sugli extraprofitti delle compagnie energetiche sia sulla ricchezza finanziaria degli italiani (stimata in 5.256 miliardi di euro), caratterizzata da crescenti livelli di disuguaglianza.
La soluzione strutturale al problema è però una sola: passa da un incremento delle fonti rinnovabili e dunque da un drastico taglio ai sussidi fossili. Un’operazione oggi particolarmente improba, perché significherebbe alzare ulteriormente il prezzo delle bollette.
Eppure solo due anni fa la finestra per agire c’era eccome, coi prezzi dell’energia ai minimi storici. Come sintetizzato nel marzo 2020 dal numero uno di Enel, Francesco Starace, i prezzi dei combustibili fossili stavano delineando «momento d’oro. I sussidi alle fonti fossili possono essere tagliati adesso». Eppure non è stato fatto.
Solo tre mesi fa l’Ocse chiedeva ancora al nostro Paese di tagliare i sussidi alle fonti fossili; il ministero della Transizione ecologica (Mite) avrebbe dovuto presentare un piano nel merito entro fine giugno, ma è sparito dai radar. Eppure è da qui che passa una fetta molto rilevante della transizione energetica.
Non è facile contabilizzare con precisione l’ammontare delle sovvenzioni, quando si parla di fonti fossili. Secondo le stime piuttosto conservative della Commissione Ue, in Italia arrivano a 5,5 miliardi di euro l’anno, mentre il Fondo monetario internazionale (Fmi) innalza la cifra fino a 41 miliardi di dollari l’anno prendendo come riferimento la differenza tra i prezzi pagati dai consumatori sui combustibili fossili e i loro “prezzi efficienti” (ovvero i prezzi che dovrebbero includere tutti i costi sociali e ambientali legati agli utilizzi delle risorse fossili, assimilandone le esternalità negative che invece restano ad oggi un fallimento del mercato).
Nel mezzo a questi due estremi si collocano le stime fornite da Legambiente (34,6 mld di euro l’anno) e soprattutto quelle del ministero della Transizione ecologica: 13 miliardi di euro nel solo 2020, secondo l’ultimo Catalogo elaborato dal Governo.
Tagliarli e ri-orientare la spesa, secondo lo stesso Mite, farebbe crescere il Pil e l’occupazione, mentre a scendere sarebbero le emissioni di gas serra. Eppure ci troviamo ancora una volta alla canna del gas, letteralmente.