Geotermia e comunicazione della scienza: un confronto

Intervista doppia con Bruno Della Vedova, presidente dell’Unione geotermica italiana, e il geologo di riferimento dei comitati “no geo” Andrea Borgia

[20 Settembre 2022]

In un Paese come l’Italia, dove l’assai bassa fiducia nelle istituzioni è uno dei principali fattori che alimenta – comprensibilmente – la diffusione della sindrome Nimby anche contro impianti utili alla transizione ecologica, la scienza e gli scienziati restano ancora un importante punto di riferimento.

Ma anche verso di loro c’è una fiducia condizionata, com’è emerso in modo evidente durante la pandemia. All’improvviso il grande pubblico ha “scoperto” che la scienza non è fondata su certezze assolute, ma è un continuo work in progress dove anche gli esperti in un determinato campo sono spesso in disaccordo tra loro.

Il punto è arrivare ad una visione largamente condivisa nella comunità scientifica di riferimento, che segni una rotta; studi isolati non bastano a farlo, così com’è diversa la voce di un pur autorevole esperto che parla a titolo personale da quella di una comunità scientifica.

Come se ne esce? Di certo non limitando la libertà di parola degli scienziati, ma è al contempo indispensabile dotarsi degli strumenti cognitivi per distinguere tra lo scetticismo buono e quello dei “mercanti di dubbi”.

In questo percorso impervioTelmo Pievani, che ricopre la prima cattedra italiana di Filosofia delle scienze biologiche all’Università di Padova, dove insegna anche Bioetica e Divulgazione naturalistica, sottolinea però un grave vulnus: «In Italia manca una voce unica della comunità scientifica (autorevole, terza e istituzionale) come invece è presente in altri Paesi, europei e non. Qualcuno a cui rivolgersi dando indicazioni e orientamenti».Perché un conto è portare avanti il dibattito scientifico, anche serrato, ma attraverso paper pubblicati sulle più importanti riviste scientifiche peer-review, un altro è comunicarne gli esiti al pubblico in maniera comprensibile.

Un’Autorità geotermica nazionale ancora non c’è, ma sulla sostenibilità degli impieghi geotermici – e sugli aspetti ancora da migliorare – si esprimono con regolarità autorità scientifiche e istituzioni preposte a livello regionale, nazionale, europeo e internazionale.

C’è però l’Unione geotermica italiana (Ugi), che ha come soci università, enti di ricerca e aziende di settore. Il suo presidente, Bruno Della Vedova, è il protagonista di questa intervista doppia assieme ad Andrea Borgia, geologo tra i principali riferimenti scientifici dei comitati “no geo”; un’intervista doppia che segue quella qui realizzata tempo fa tra Adele Manzella, già presidente Ugi e oggi primo ricercatore del Cnr, e Roberto Barocci.

Anche stavolta domande in comune, pubblicazione in contemporanea: ben lontana dallo spirito di una singolar tenzone, si tratta di un’occasione per un dibattito argomentato e contestualizzato, che è il sale della scienza.

Non tutti i ricercatori sono concordi sul fatto che sia in corso un cambiamento climatico indotto dalle emissioni di CO2eq legate all’uso dei combustibili fossili: a sostenerlo è però il 9799% degli scienziati climatici, come anche la massima autorità scientifica in materia (Ipcc). Ritiene che dovremmo agire subito per porre un freno alle emissioni o attendere un’eventuale unanimità?

BDV: «Il cambiamento climatico è un problema globale complesso che interconnette diversi sottosistemi a grande scala, con componenti naturali di lungo periodo e componenti antropiche di breve periodo. La raccolta e analisi dei dati a diverse scale spaziali e temporali, il rigore, i modelli e le simulazioni e la distinzione tra correlazione e causalità sono alcuni dei principi del metodo scientifico che hanno portato la stragrande maggioranza dei ricercatori a concordare sull’interpretazione dei dati. La scienza per progredire ha bisogno del dubbio e l’unanimità non è un obiettivo. Quando però il consenso della comunità scientifica internazionale è talmente elevato non c’è alcuna giustificazione per non adottare urgentemente le misure necessarie».

AB: «Nella scienza l’unanimità non dovrebbe esistere perché le nuove scoperte vengono spesso proprio da quell’1-3% di disaccordo. Negli ultimi 150-200 anni la concentrazione di CO2 in atmosfera è più che raddoppiata. Penso che pochi possano mettere in dubbio il contributo anche umano a questo incremento molto rapido a cui anche le centrali geotermiche attuali contribuiscono».

Neanche sulla geotermia c’è unanimità: alcuni ricercatori sostengono che l’uso delle risorse ad alta entalpia per la produzione di elettricità comporti, con le tecnologie attuali, più danni che benefici. La comunità scientifica nel suo complesso è però concorde, a livello sia internazionale sia nazionale – dove si è recentemente riunita all’Università La Sapienza di Roma e per gli Stati generali della geotermia – che le applicazioni geotermiche (geoscambio, teleriscaldamento e produzione geotermoelettrica) siano ragionevolmente sicure e utili contro la crisi climatica: come possiamo muoverci in questo contesto senza scadere nell’immobilismo o peggio nello scontro tra tifoserie contrapposte?

BDV: «Ci sono due contributi importanti che la geotermia può dare per muoversi verso un’economia più sostenibile basata sulla neutralità climatica, come richiamato anche dalle direttive e piani europei a sostegno della sicurezza e transizione energetica:

  • Un utilizzo del calore geotermico per riscaldamento, raffrescamento, acqua calda sanitaria (anche mediante pompe di calore), nelle città, in agricoltura, in balneoterapia e per utilizzi industriali. La geotermia è la fonte rinnovabile più adeguata ed efficiente per contribuire a risparmiare energia termica da combustibili fossili e per ridurre le emissioni e gli impatti sulla salute e sull’ambiente.
  • Un rilancio della geotermia per la realizzazione di impianti geotermici innovativi e ad emissioni nulle per la produzione di elettricità e il recupero del calore. A questo scopo sono necessari forti investimenti in ricerca e sviluppo affinché le tecnologie geotermiche possano diventare ancora più sicure e competitive».

AB: «A tali riunioni sono invitate solo voci concordi, mai quelle critiche, quest’ultime vengono sistematicamente escluse con fare poco scientifico. Mentre per la geotermia a bassa entalpia le tecnologie sono mature con un’efficienza elevata, per la produzione di energia elettrica dalla geotermia (la cui efficienza è molto bassa) la situazione è diversa: sono proprio le tecnologie attualmente utilizzate che non permettono di raggiungere adeguati livelli di sicurezza per la salute ambientale e dei cittadini (mi riferisco al caso Amiata). I produttori negano l’esistenza di impatti ambientali reali. Ad esempio, nella modellistica dei serbatoi geotermici la CO2 non viene inclusa, di fatto nascondendone gli effetti; o quando si nega, contro tutte le evidenze, l’interferenza della geotermia con gli acquiferi superficiali. Bisognerebbe piuttosto affrontare i problemi e risolverli con l’impiego di tecnologie a “ciclo chiuso” come quelle di GreenFire ed Eavor».

Una nuova serie di studi condotti nell’ambito del progetto Deep carbon – cui hanno partecipato esperti Enel e Rina consulting, oltre a ricercatori di Cnr, Università di Pisa, Politecnico di Milano, La Sapienza –, presentati prima a Larderello e poi al workshop romano e infine agli Stati generali, documenta che in Toscana la CO2eq rilasciata dalle centrali geotermiche è sostitutiva delle invisibili emissioni naturali dal suolo. In quest’ottica la CO2 geotermica non va dunque a gravare ulteriormente sulla crisi climatica, ma fa parte del naturale ciclo del carbonio, un po’ come quella legata alla combustione di biomasse o alla CO2 (circa 1 kg) che ogni essere umano espira ogni giorno: pensa che questi risultati possano aprire a nuove prospettive o tecnologie innovative sull’attività geotermoelettrica?

BDV: «Anche il ciclo del carbonio sulla Terra è un problema complesso. L’aver ridistribuito in atmosfera, in poco più di un secolo, una gran quantità di carbonio sequestrato in milioni di anni negli idrocarburi profondi ha fortemente alterato il ciclo del carbonio: alterazione che il sistema Terra non è in grado di metabolizzare alla nostra scala temporale.

Diverso è il discorso per le emissioni naturali nelle aree geotermiche attive, come ad esempio la Toscana, il Lazio, la Campania ed i vulcani delle Eolie e del Tirreno. Qui le emissioni sono molto significative a causa delle elevate pressioni dei fluidi profondi e della permeabilità delle rocce. Gli impianti geotermici che utilizzano tali fluidi per produrre energia, allo stesso tempo contribuiscono a ridurre la pressione nei serbatoi, riducendo anche il flusso delle emissioni naturali nell’area circostante gli impianti geotermici. L’innovazione tecnologica per gli impianti geotermici attuali e per quelli del futuro ha come obiettivi principali: la sostenibilità, l’impatto ambientale minimo, la produzione costante di elettricità e il recupero del calore, e la lunga vita produttiva degli impianti. L’impronta ambientale della geotermia sarà ulteriormente minimizzata rispetto agli impianti installati nel mondo e ancora più competitiva nei confronti delle altre rinnovabili».

AB: «Si tratta di valutazioni piuttosto avventate. Non si contesta l’utilità e la qualità delle indagini, ma alcune conclusioni, che farebbero emergere un conflitto di interessi. A mio parere la prima conseguenza dei rilievi fatti dal prof. Sbrana è che le rocce di copertura dei campi geotermici, che i produttori assumono impermeabili, in realtà non lo sono: se la CO2 dai campi geotermici risale in superficie anche l’acqua di falda potrà scendere nei campi geotermici. Risulta quindi invalidato il presupposto su cui sono basati i modelli geotermici delle centrali attuali ed in progetto. La seconda conseguenza è che a causa della permeabilità della copertura nei sessanta anni di sfruttamento geotermico gli acquiferi superficiali sono stati ridotti al punto di non poter più tamponare la risalita della CO2. In ogni caso, senza avere un rilievo precedente allo sfruttamento geotermico, non si può affermare che la situazione non sia peggiorata a seguito dello sfruttamento. Da un punto di vista scientifico, la fortissima depressurizzazione dei campi geotermici avvenuta negli ultimi 60 anni deve necessariamente aver alterato le condizioni originarie. Sembrerebbe, quindi, che la geotermia abbia generato una condizione più impattante di quella precedente allo sfruttamento geotermico, particolarmente riguardo alle emissioni di CO2».

Nessuna attività industriale – compresa quella geotermica – è a impatto zero sull’ambiente, tant’è che l’autorità pubblica preposta (Arpat) verifica puntualmente il rispetto dei limiti di legge imposti alle centrali per le emissioni inquinanti. Nel merito, anche il recentissimo progetto europeo Geoenvi conferma che le attuali misure di mitigazione sono efficaci pur individuando aspetti su cui poter migliorare ancora: ritiene che questi risultati siano stati diffusi adeguatamente all’interno della comunità scientifica di riferimento e tra i gruppi di cittadini diffidenti rispetto all’uso industriale della geotermia?

BDV: «L’informazione e la comunicazione sono fondamentali e raramente adeguate per molti e diversi motivi. Uno in particolare, nel caso della geotermia, è cruciale e spesso carente: una buona comunicazione richiede una preventiva e reciproca disponibilità ad ascoltare e a confrontare anche posizioni diverse (senza pregiudizi), in modo interattivo e partecipato tra chi informa e l’auditorio, con l’obiettivo di migliorare la conoscenza e poter valutare soluzioni più sostenibili e responsabili. Sicuramente la comunità scientifica di riferimento dovrà aumentare l’impegno e migliorare la comunicazione al suo interno e verso il territorio».

AB: «La verifica del rispetto dei limiti di legge nelle emissioni è aleatoria. Per esempio, la legge prevede la misura delle emissioni in continuo, ma questo non viene fatto (per una recente sintesi Arpat in merito si veda ad es. qui, ndr). Arpat misura solo alcuni inquinanti emessi meno di una volta all’anno e non sono mai misurate le emissioni di inquinanti nei numerosi periodi di malfunzionamento degli impianti. Ma non basta, secondo i dati di Arpa Puglia del 2017 la centrale a carbone di Brindisi di potenza pari a 2640 MWe ha emesso meno della metà del mercurio delle centrali geotermiche di Bagnore 3 e 4 (dati Arpa Toscana) che producono solo 60 MWe.

Inoltre, non vi sono limiti di emissione per la maggior parte degli inquinanti, come i Pm10 e Pm2,5. L’Università di Firenze ha rilevato che le concentrazioni di cesio, tallio, torio ed uranio nelle polveri sottili emesse dalle centrali di Piancastagnaio sono ben superiori a quelle di Firenze ed Arezzo – e l’Amiata è una zona remota dove non vi sono grosse fonti di inquinamento a parte le centrali geotermiche. È rilevante che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica e la legge italiana ora sottoponga le attività geotermiche alla disciplina per la produzione di rifiuti radioattivi».

Anche gli effetti dell’attività geotermoelettrica sulla salute umana sono stati ampiamente indagati, in particolare sull’Amiata, da un team composto da medici locali, ricercatori e pubbliche autorità riuniti nell’ambito dell’indagine epidemiologica InVetta. Dopo tre lustri di ricerche – sviluppatisi proprio a partire dalle criticità emerse da un primo studio nel 2010 –, InVetta ha dimostrato che non vi sono impatti significativi sulla salute derivanti dall’attività geotermoelettrica. Una nuova cabina di regia regionale è ora chiamata a continuare l’indagine: quali aspetti ritiene debbano essere ancora approfonditi?

BDV: «Le aree geotermiche italiane più attive, dalla Toscana alla Campania al Tirreno meridionale, sono naturalmente interessate dalla presenza di rocce vulcaniche intrusive ed effusive che possono contenere minerali con presenza di metalli. Gli acquiferi e i fluidi che interessano queste rocce si possono arricchire di ioni metallici, come evidenziato dallo studio in oggetto, e superare le soglie di attenzione nell’acqua sotterranea, negli ortaggi e nella frutta. L’istituzione della cabina di regia regionale è quanto mai adeguata ed opportuna, per continuare lo studio e il monitoraggio della concentrazione di questi metalli nelle aree individuate».

AB: «In merito ai risultati dello studio InVetta, tre cose sono certe: (1) i campioni di urine e sangue di chi vive vicino alle centrali geotermiche hanno concentrazioni di metalli pesanti mediamente più elevati dei valori di riferimento della popolazione italiana (dati Sivr); (2) i lavoratori delle centrali mostrano livelli più alti di mercurio nelle urine, e mercurio e tallio nel sangue rispetto ai partecipanti allo studio; (3) l’esposizione ad arsenico (elemento emesso dalla geotermia) nelle acque potabili è correlato all’aumento di rischio di tumori, malattie respiratorie e cardiovascolari».

A fronte delle crescenti evidenze scientifiche accumulate sull’uso sostenibile della geotermia, fatti salvi i legittimi dubbi della minoranza di ricercatori contrari all’uso di questa fonte rinnovabile, larga parte della cittadinanza mostra di non avere ancora un quadro chiaro della situazione: come migliorare la comunicazione scientifica sul tema, in modo da recuperare fiducia nei media come nelle istituzioni?

BDV: «In un momento particolarmente critico per il futuro credo che ora sia necessario che la comunità geotermica metta in campo iniziative mirate di comunicazione scientifica per rendere chiare e comprensibili le potenzialità e lo stato del settore, le possibili applicazioni per riscaldamento e raffrescamento, per il teleriscaldamento e per la produzione geotermoelettrica, le barriere allo sviluppo, le misure di mitigazione degli impatti e i margini di miglioramento che si possono acquisire. Nel merito, il Tavolo tecnico per la geotermia sta organizzando un workshop su Innovazione e sostenibilità per gli impianti geotermici del futuro, che si terrà presso la Scuola di Ingegneria dell’Università di Pisa nel febbraio 2023».

AB: «L’affermazione non può essere accettata a priori ed a prescindere dal territorio e dalla tecnologia impiegata. In Amiata i fluidi geotermici sono da considerare tossico-nocivi. Nonostante questo con le tecnologie attuali essi sono emessi in atmosfera per il 50-70% riducendo soltanto in parte i quantitativi di mercurio, H2S ed ammoniaca. Sarebbe opportuno che gli scienziati dicessero semplicemente la verità e sponsorizzassero le recenti tecnologie che estraggono unicamente il calore dalle rocce senza la movimentazione dei fluidi geotermici».