Il bilancio di fine mandato del direttore generale, Franco Borchi
Ato Toscana costa, è il momento di Retiambiente: ecco come cambierà la gestione rifiuti
La sfida è andare oltre la sola raccolta differenziata, per spingere il riciclo e diminuire il ricorso alla discarica. Con la grande incognita del recupero energetico
È stato firmato il contratto di servizio tra l’Ato Toscana costa – che riunisce cento Comuni nelle province di Massa Carrara, Lucca, Pisa e Livorno (esclusa Val di Cornia) – e Retiambiente, il soggetto 100% pubblico chiamato a gestire i rifiuti urbani prodotti sul territorio. Si tratta di un punto di svolta a 13 anni dalla legge regionale 61/2007 che individuava gli attuali tre ambiti territoriali (Ato), che da oggi hanno tutti il proprio gestore di riferimento (qui il video dell’assemblea che ha deliberato l’affidamento).
Secondo gli ultimi dati certificati da Arrr (2019), il territorio dell’Ato costa si presenta all’appuntamento con 796.878 tonnellate/anno di rifiuti urbani prodotti (in calo dell’11% dal 2008, anno d’inizio della grande recessione) e una raccolta differenziata al 64,29%. «Ma ora la sfida non sarà più quella – come esplicitato dalle direttive Ue e messo nero su bianco nel piano industriale di Retiambiente, che la nostra redazione ha potuto visionare – bensì il raggiungimento dei massimi livelli di riciclo di ciò che, pur inevitabilmente, dovrà essere raccolto in modo differenziato». In questo contesto di economia circolare, per i rifiuti urbani l’Ato e dunque Retiambiente intendono «tendere quanto più possibile vicino a “discarica zero”» entro 15 anni. Tutto questo significa anche rivedere e potenziare la dotazione impiantistica oggi presente e attiva sul territorio dell’Ato, e composta da 6 Tm/Tmb (impianti di trattamento meccanico o meccanico-biologico per l’indifferenziato, a servizio di discariche o waste to energy), 2 impianti di compostaggio per la Forsu, 2 discariche e 1 inceneritore.
Per fare il punto della situazione abbiamo contattato il direttore generale Franco Borchi, alla guida dell’Ato Toscana costa dal 2008 e adesso alla vigilia della pensione.
È stato appena firmato il contratto di servizio con Retiambiente, quali sono durata e valore economico?
«Il contratto è valido dal 1 gennaio 2021 fino al 2035, per un valore economico che si assesterà inizialmente attorno ai 280 milioni di euro all’anno, per decrescere fino ai 250 milioni nel 2035».
Come si articolerà il rapporto tra Retiambiente e le singole Società operative locali (Sol), che continueranno a rimanere attive sul territorio?
«Retiambiente avrà in capo la gestione e la realizzazione degli impianti, come anche la gestione delle risorse comuni (gestione del personale, acquisti, etc), mentre alle Sol – con le quali stipulerà apposito contratto – spetta il compito di erogare i servizi di igiene urbana sui rispettivi territori di competenza».
Alcune delle società locali però non sono ancora confluite in Retiambiente, un percorso che si prevede terminerà al 2029.
«Si tratta di realtà che non è possibile, per vari motivi come la presenza di procedure concordatarie, confluire in Retiambiente da subito, oppure società che devono subire una trasformazione (vedi per esempio l’Asmiu di Massa o Nausicaa di Carrara che è una multiutility) attraverso la quale si possano effettivamente concretizzare le condizioni per il loro conferimento in Retiambiente. Tali società, nel periodo in cui non sono ancora confluite nel gestore, non potranno comunque avere un’attività del tutto autonoma: dovranno comunque coordinarsi con Retiambiente anche perché gli obiettivi previsti nel piano industriale sono comuni a tutto l’ambito. Quindi anche esse dovranno dare il loro contributo. Per poter usufruire di questa finestra temporale, in vista del conferimento in Retiambiente, tali società e i comuni proprietari devono tuttavia stipulare un contratto temporaneo con Retiambiente e l’Ato – in alcuni casi tale atto è stato già definito, come per Livorno – che preveda sia la durata della finestra temporale, sia il perdurare dell’attuale contratto di servizio in essere per il periodo connesso alla finestra temporale concessa; il contratto temporaneo dev’essere firmato entro 30 giorni dalla firma del contratto di servizio che abbiamo stipulato con Retiambiente, altrimenti il gestore individuato dall’Ato il 13 dicembre 2020 subentrerà a tali aziende locali con il relativo passaggio del personale».
Attraverso l’Ato i Comuni hanno individuato il gestore dei rifiuti urbani in Retiambiente, che a sua volta è una società interamente pubblica partecipata indirettamente al 100% dagli stessi Comuni. In un assetto interamente pubblico gli investimenti previsti dal Piano industriale come saranno finanziati, e a quanto ammontano?
«Si tratta di investimenti che verranno finanziati tramite la Tari: circa 140 milioni di euro, 120 dei quali dedicati all’impiantistica. Verranno realizzati ad esempio 36 nuovi centri di raccolta oltre i 74 già presenti, una ricicleria per ogni provincia (ovvero piattaforme di selezione avanzate per i flussi di rifiuti provenienti dalle raccolte differenziate, ndr), una fabbrica dei materiali a Pioppogatto (un Tmb più avanzato per la gestione dei rifiuti indifferenziati, ndr), un impianto per il recupero dei pannolini a Capannori, un impianto per il recupero delle terre da spazzamento. Per l’organico in particolare abbiamo previsto di non realizzare l’impianto originariamente previsto a Capannori, ma consentire se possibile un potenziamento sostitutivo dell’impianto Cermec di Massa; prendo atto che per la gestione dell’organico c’è anche un accordo in essere tra il Comune di Livorno e quello di Capannori (per realizzare un biodigestore a Livorno, ndr), ma si tratta di un’opzione non prevista nell’attuale pianificazione d’ambito e quindi dovrà essere valutata all’interno del prossimo e, ancora prima, nel nuovo Piano regionale rifiuti e bonifiche (Prb) in fase di elaborazione. In generale il nostro obiettivo di Ato è di raggiungere l’autosufficienza impiantistica sul territorio sia per lo smaltimento sia per il recupero: adesso non è così, specialmente per quanto riguarda la frazione organica».
Da questo punto di vista che ruolo avranno con Retiambiente gli impianti “in convenzione” presenti sul territorio, cioè quelli al di fuori del perimetro societario?
«Si tratta di impianti che necessariamente – per vari motivi tecnici e anche amministrativi – non potevano rientrare all’interno del perimetro dell’affidamento, ma coi quali ci sono già delle convenzioni in essere; Retiambiente ha facoltà di verificare se tali atti prefigurano oggi condizioni economiche ancora soddisfacenti ed eventualmente ha la possibilità di ricontrattarli se ci fosse possibilità di garantire maggiori risparmi per l’utenza».
Tra questi impianti è presente anche l’impianto di discarica più ampio della Toscana – quello di Scapigliato –, che ha però deciso di rendere marginale lo smaltimento entro il 2030 risalendo la gerarchia di gestione. Crede si tratti di un percorso industriale coerente con le esigenze del territorio?
«Direi proprio di sì, è un percorso assolutamente coerente perché il fabbisogno di smaltimento è previsto in diminuzione nei prossimi anni, grazie al progressivo aumento delle raccolte differenziate ma soprattutto alla conseguente capacità di recupero. Come Ato l’orizzonte è quello che prevede di diminuire i conferimenti in discarica fino a meno del 10% del totale dei rifiuti urbani prodotti».
Guardando agli obiettivi previsti nel Piano industriale di Retiambiente, appaiono infatti molto ambiziosi e focalizzati sul riciclo. Partiamo dal primo step, quello della prevenzione: l’Ato pone l’obiettivo di ridurre la produzione pro-capite di rifiuti urbani a 582 kg/ab nel 2023, mentre nel 2019 è 626 kg/ab. Come?
«L’Ato ha previsto – e inserito all’interno del contratto di affidamento del servizio a Retiambiente – stanziamenti pari all’1,5% del corrispettivo da destinare a politiche per la prevenzione e la riduzione dei rifiuti: si parla di somme ingenti, pari a oltre 2 milioni di euro all’anno; risorse che per essere messe in moto necessitano di un atto di regolazione che l’Ato farà nel corso del 2021. Saranno poi canalizzate all’interno di un piano annuale per la riduzione dei rifiuti e destinate ad iniziative come la realizzazione di quattro centri per il riuso – uno per provincia – o il potenziamento del compostaggio domestico».
Passiamo alla raccolta differenziata: sull’Ato costa è al 64,29%, con un 14% – circa 65mila ton/anno – che è da buttare di nuovo a causa della sua scarsa qualità. Come si arriverà al 75% di raccolta differenziata al 2023, sviluppando un modello che incrementi la qualità?
«Sono già in atto progetti per l’avvio delle raccolte domiciliari in quelle aree ancora scoperte, progetti che avrebbero dovuto concludersi entro l’anno ma che a causa Covid-19 saranno completati nel 2021, poi ci sarà l’attivazione della tariffa puntuale in alcuni Comuni anche grandi – come per esempio Pisa o Viareggio – e questo sicuramente contribuirà a incrementare la raccolta differenziata, forse anche la qualità».
Si punterà dunque sul porta a porta in tutto il territorio, anche se questa si conferma essere la modalità più onerosa dal punto di vista economico (circa un costo medio di 190€/tonnellata rispetto ai 74€/tonnellata della raccolta stradale)?
«Il porta a porta ormai è esteso quasi completamente ed è quello di riferimento per il piano industriale (il modello Pap prevalente risulta idoneo a servire l’88% della popolazione di Ato costa, ndr), ma in alcuni casi verrà accompagnato anche da contenitori ad accesso controllato, ad esempio nei centri storici di grandi Comuni come Livorno, Pisa, Lucca e probabilmente anche Carrara; in aggiunta nei piccoli centri caratterizzati da case sparse verranno poi sperimentati servizi innovativi come la raccolta domiciliare su richiesta».
L’obiettivo centrale dell’Ato Costa è quello di incrementare la percentuale di recupero di materia sopra il 60%, mentre il tasso di recupero stimato nel 2018 è al 52%. Come migliorare?
«Sarà fondamentale il ruolo del potenziamento impiantistico sul territorio cui abbiamo già accennato, attraverso le fabbriche dei materiali, le riciclerie e che arriva fino al trattamento delle terre da spazzamento: è un approccio che copre tutte le frazioni principali di rifiuti e che grazie alla migliore selezione dovrà consentire anche gli effettivi avvii al recupero e al riciclo».
Negli scenari individuati dall’Ato, nel 2023 non oltre il 22% dei rifiuti urbani verrà indirizzato a recupero energetico o discarica, con percentuali variabili (rispettivamente 13% e 9%, o 17% e 5%) a seconda delle dotazioni impiantistiche disponibili. Se non verranno realizzati nuovi impianti per il recupero energetico – l’unico termovalorizzatore attualmente attivo e previsto in dimissione nel 2023 è quello di Livorno – ci sarà un ricorso maggiore alla discarica e un invio dei rifiuti da bruciare (90-100 mila tonnellate l’anno) fuori dal territorio dell’Ato. Lo scenario a minimo recupero energetico tra i due è il più insostenibile: perché è stato mantenuto?
«Parliamoci chiaro, la questione del recupero energetico è la vera debolezza non solo del nostro atto pianificatorio, ma della pianificazione regionale nel suo complesso. Per quanto riguarda il recupero energetico lo scenario è ancora aperto: si tratta dunque di un problema che credo dovrebbe essere risolto in maniera coordinata a monte, a livello regionale, per poi discendere sui territori locali. Da parte nostra abbiamo prospettato alcuni scenari, anche con notevoli differenze dal punto di vista della configurazione impiantistica. Si va dal mantenere l’attuale configurazione, che vede il termovalorizzatore del Picchianti come unico impianto, per il quale è però previsto lo spegnimento da parte dell’amministrazione comunale nel 2023, a opzioni quali la riattivazione dell’impianto di Ospedaletto (che tuttavia vede la contrarietà del Comune di Pisa), alla realizzazione di nuove strutture impiantistiche, al massiccio ricorso al collocamento dei materiali valorizzabili termicamente sul mercato (la cui effettiva esistenza, con garanzie di continuità e accessibilità economica, è però tutt’altro che certa). Sono tutti scenari compatibili con la pianificazione regionale, ma che dovranno essere valutati attentamente dal punto di vista della compatibilità ambientale ed economica, e su questo è previsto un percorso ben preciso di pari passo al nuovo Prb».
Come si inserisce in questo contesto l’ipotesi di realizzare un gassificatore per gestire flussi da 200mila tonnellate annue – plastiche non riciclabili e Css – alla raffineria Eni di Stagno?
«Su questo tema sono intervenuti i due Comuni più interessati, Livorno e Collesalvetti, ma l’Ato non è stato interpellato nel merito mentre sarebbe interesse comune che – anche in ambito regionale – le Autorità fossero in qualche misura tutte coinvolte. Come accennavo il recupero energetico da rifiuti continuerà ad essere necessario, ma è un aspetto che rimane da determinare e noi non eravamo e non siamo nella condizione di poterlo fare. A valle dell’affidamento a Retiambiente si tratta di un compito sul quale i sindaci saranno chiamati ad esprimere una decisione nel merito».
Guardando agli aspetti economici del piano industriale di Retiambiente, emerge che nell’Ato costa la tariffa rifiuti procapite era a 239 euro/ab nel 2018, e si prevede arriverà a 208-212 euro/ab nel 2023 (con dunque un calo del 10-15% dei costi). In che modo?
«La riduzione della tariffa nasce da una solida idea di efficientamento del sistema, inoltre il meccanismo dell’affidamento in house prevede una gestione internalizzata del sistema impiantistico che conduce a notevoli risparmi; del resto avrebbe avuto poco senso affidarsi a un nuovo gestore unico senza poter beneficiare delle relative economie di scala. Anche gli investimenti previsti sugli impianti sono pensati per un abbattimento dei costi nel medio termine, si pensi ad esempio alla gestione dell’organico: raggiungere l’autosufficienza impiantistica significa contenere i costi di trattamento per quelle frazioni di rifiuti che attualmente vengono spesso esportate nel nord Italia, con costi (anche di trasporto) molto alti».
Allargando il campo d’osservazione, con il decreto legislativo 116/2020 che recepisce le ultime direttive Ue sull’economia circolare spariscono i rifiuti speciali assimilati agli urbani così come li conoscevamo. Cosa cambia per la Toscana, dove finora erano presenti criteri di assimilazione molto ampi?
«Si tratta di uno scenario ancora tutto in divenire. Su questo versante il dlgs 116/220, tramite apposite tabelle, individua a livello nazionale quali rifiuti – con il relativo codice Cer – prodotti dalle utenze non domestiche sono assimilati agli urbani e quali tipologie di utenze possono produrli. Finora invece la situazione variava da Comune a Comune, dove singoli regolamenti individuavano quali rifiuti speciali (e con quali tetti quantitativi) fossero assimilabili agli urbani. Quel che comunque rimane è la possibilità per l’utenza non domestica di restare fuori dal perimetro della privativa comunale per quei rifiuti assimilati che possa dimostrare di aver avviato a recupero rivolgendosi alle imprese sul mercato, con la possibilità dunque di chiedere una riduzione proporzionale della Tari. Ma ripeto, ancora è molto difficile capire quale sarà l’impatto effettivo del dlgs 116/220 sulla produzione effettiva di rifiuti urbani, se in diminuzione o addirittura magari in aumento. Ma su tutto questo vorrei avanzare una considerazione di carattere personale».
Prego.
«A valle dell’esperienza maturata in questi anni sulla gestione dei rifiuti, osservo che una differenziazione marcata, come quella che sta prefigurandosi, tra rifiuti urbani e speciali assimilabili non mi pare giustificata: sovente questi rifiuti hanno caratteristiche merceologiche del tutto simili, e prevedere per essi canali di gestione nettamente separati ed autonomi non credo sia utile alla gestione complessiva del problema. Personalmente ritengo sarebbe opportuno che la gestione di questi flussi di rifiuti dovrebbe rientrare nell’ambito di una offerta pubblica complessiva. Credo infatti che il soggetto pubblico sia l’unico in grado di poter svolgere un’azione coordinata e garantire un controllo della corretta gestione di questi rifiuti evitando problemi ambientali».
Questi sono i suoi ultimi giorni come direttore generale dell’Ato: più in generale quale tipo di consapevolezza le ha lasciato questo lungo percorso?
«Dopo 12 anni di attività posso dire che sia stata un’esperienza molto importante per me dal punto di vista lavorativo. In base all’esperienza maturata nel tempo, ho temuto fino all’ultimo che anche stavolta la procedura di affidamento potesse concludersi nel nulla. Alla fine invece l’affidamento a Retiambiente è avvenuto: una conclusione positiva, per la quale desidero ringraziare i collaboratori che sono sempre stati accanto a me. Da una situazione di estrema frantumazione che ho trovato nel 2008, adesso il gestore è stato individuato in Retiambiente: a questo punto dal primo di gennaio il gestore dovrà cominciare ad operare, e mi auguro che vada tutto bene. Anche se conservo le mie perplessità sull’affidamento secondo la modalità in house, soprattutto per un numero così elevato di Comuni che dovranno esercitare congiuntamente le funzioni di controllo analogo sul servizio ho, d’altro canto, sempre pensato che rimandare l’individuazione del gestore fosse il male peggiore. Adesso il gestore esiste, è un gestore tutto pubblico di proprietà dei Comuni, i quali a loro volta costituiscono l’Ato che ha affidato il servizio: se Retiambiente dimostrerà di avere le necessarie competenze imprenditoriali e gestionali, l’Ato potrà svolgere efficacemente la propria attività di regolazione e controllo ed i comuni saranno in grado di esprimere chiaramente i necessari indirizzi strategici, allora la gestione unitaria di ambito potrà effettivamente andare a regime entro pochi anni».
Pensa possa essere l’occasione per porre fine a numerose sindromi Nimby e Nimto che ancora attraversano il territorio?
«Ribadisco che i Comuni debbano acquisire la consapevolezza che il gestore rappresenta un soggetto di loro proprietà, sostanzialmente un prolungamento dei loro uffici sul territorio, e quindi si tratta di un soggetto che va indirizzato, gestito e controllato in maniera opportuna: è chiaro che tutto questo presuppone che i Comuni vadano oltre quelle problematiche che hanno una matrice esclusivamente locale, che hanno determinato numerosi mal di pancia negli ultimi anni e mesi, e si concentrino sull’obiettivo generale anziché su interessi particolari. Gli obiettivi d’economia circolare dovranno essere conseguiti a livello di ambito, ed i vantaggi locali saranno una diretta conseguenza del conseguimento dell’interesse generale. Se l’obiettivo generale non viene conseguito, al contrario, anche a livello locale non ci potranno essere ricadute positive».
Per seguire l’evolversi di questo nuovo percorso è già stato individuato il suo successore come direttore generale dell’Ato?
«Ancora no, ci sono stati degli inconvenienti con la procedura di gara e l’assemblea ha dunque deciso di annullarla per pubblicarne un’altra a brevissimo. Noi abbiamo già predisposto il nuovo avviso e mi auguro di poterlo firmare in questi giorni di lavoro che mi sono rimasti. È evidente che in virtù dei tempi tecnici la durata di questa nuova procedura sarà di qualche mese, ma nel mentre l’Autorità non può rimanere priva di un direttore generale soprattutto in questa fase delicata di avvio dell’affidamento del servizio, ed è per questo che l’Ato ha individuato nella figura di Alessandro Mazzei – alla guida dell’Autorità idrica toscana – un direttore ad interim».
Nella foto, da sinistra in piedi: Sandro Gallo (RetiAmbiente spa), Aldo Iacomelli (RetiAmbiente spa), Michele Francesco Pinotti (Autorità d’Ambito ATO Toscana Costa), Tamara Toto (RetiAmbiente spa), Elisa Cuccuru (RetiAmbiente spa), Elio Altese (Autorità d’Ambito ATO Toscana Costa), Roberto Nieri (Autorità d’Ambito ATO Toscana Costa). Da sinistra seduti: Daniele Fortini (RetiAmbiente spa), Franco Borchi (Autorità d’Ambito ATO Toscana Costa).